Perché devo muovere le mani, e non mi basta colorare, ma devo toccare, manipolare, disporre… e poi premere per l’incollaggio, ma anche trattare con delicatezza stoffe, pizzi e carta. Questo richiede mani che vogliano e sappiano confrontarsi con la materia; le mie composizioni sono esperienza di contatto consapevole con la materia.
…perché amo comporre, più che dipingere, oso affidarmi alla guida del gesto e dello sguardo. Le mani dettano ed io seguo il loro movimento. Inizialmente il lavoro è tutto loro: tra materiali e sensazioni tattili delle mani si stabilisce un rapporto intimo. Poi, entra in gioco lo sguardo che sceglie. Alla fine, arriva la mente. La forma genera il pensiero: il concetto nasce dall’ascolto della forma che a sua volta è nata dall’ascolto dell’istinto delle mani in relazione con la materia
…perché la creazione è una forma di ascolto profondo e allora non posso progettare. Rinunciare ad una progettualità aprioristica significa riconoscere ed affermare il significato ed il senso di ciò che si realizza: ogni opera è un essere con una sua intenzionalità, vuole dire qualcosa senza dire, una forma-pensiero che si manifesta e si dispiega nella materia, oltre me.
…perché ho bisogno di far incontrare, di mettere a confronto materiali diversi. Ricerca di armonia tramite contrasto, tramite conflitto: la convivenza di diversi è la vita stessa, fuori e dentro di noi.
Funzione auto-terapeutica dell’arte, permetterci di apprezzare, gustare vicinanze e relazioni interessanti.
…perché riutilizzare materiali che hanno già una loro storia – al di là del semplice riciclo – e farlo collocandoli in un nuovo ambito significante è un atto di profondo riconoscimento e gratitudine: verso il femminile, verso l’umile, verso quel passato che permette nuovi futuri…
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